Crisi Haiti: cosa c’è da sapere per capire come si è arrivati a questo punto

Vediamo di ripercorrere una storia di potenze imperiali e oppressione.

La situazione ad Haiti è diventata così grave da portare alle dimissioni del capo del governo Ariel Henry e all’istituzione di un consiglio presidenziale di transizione. Le prigioni e l’aeroporto della capitale del Paese sono stati attaccati da potenti gang criminali, mettendo a dura prova le forze di sicurezza statale e provocando una situazione di stallo.

Scuole e uffici sono stati chiusi e circa 15.000 persone sono state sfollate a Port-au-Prince. Haiti è in preda al caos e all’anarchia nelle strade e i capi delle bande minacciano una guerra civile.

Una guerra civile non è come una partita a un casinò online, dove o si vince o si perde; l’unico esito possibile vede distruzione e perdite e Haiti è già un Paese povero.

Solo nel 2024 sono state uccise migliaia di persone e la situazione è andata fuori controllo a seguito di un’evasione di massa dalla principale prigione della capitale e persino voci su un presunto cannibalismo.  Ma come si è arrivati a tutto ciò in questo Stato caraibico? Vediamo di ripercorrere una storia di potenze imperiali e oppressione.

Avvenimenti recenti

Il 29 febbraio, data in cui il primo ministro Ariel Henry ha rassegnato le dimissioni, sono stati riportati numerosi episodi di violenza. Henry si è recato in Kenya chiedendo il dispiegamento delle sue forze di polizia come parte di un intervento internazionale ad Haiti per aiutare a contenere la violenza nel corso dell’evasione di massa. La capitale era già in preda al caos e per le strade sporche di sangue si sentivano riecheggiare gli spari.

Allo stesso tempo, il noto capobanda Jimmy Cherizier, detto “Barbecue”, ha dichiarato che la sua fazione G9 si stava unendo ad altre gang per cacciare via Henry.

Il 3 marzo, Patrick Boivert, primo ministro allora ancora in carica, ha dichiarato lo stato di emergenza. Da quel momento, Henry è stato esiliato dal suo Paese dopo che al suo aereo è stato impedito di atterrare in seguito agli attacchi all’aeroporto internazionale di Haiti.

Attualmente Henry si trova a Puerto Rico, nonostante gli sforzi fatti dagli Stati Uniti (la potenza imperialista che, secondo gli storici e gli analisti, ha in passato intralciato la crescita di Haiti) per farlo tornare in fretta al suo Paese per supervisionare un processo di transizione politica in mezzo al caos.

Com’è che Haiti è stata inghiottita dalla crisi?

Haiti è teatro di agitazioni politiche da circa vent’anni, a causa delle macchinazioni di Stati Uniti, Canada e Francia, oltre ad altri interessi, in un’antica storia di colonialismo. Gli abitanti di questo piccolo Stato sono attanagliati dalla povertà, soprattutto dopo il tragico terremoto del 2010 che ha provocato più di 200.000 morti e le infrastrutture completamente distrutte in tutta l’isola. 

Il più recente giro di attacchi è iniziato verso la fine di febbraio, quando Henry ha annunciato che non avrebbe tenuto le tanto attese elezioni generali prima dell’anno successivo. Le sue dimissioni volontarie erano attese per febbraio, ma Henry ha scelto di non rassegnarle, cosa che ha provocato la rabbia di molti haitiani e contribuito al fatto che le bande criminali prendessero il sopravvento.

Il poco amato ex ministro Henry aveva ripetutamente posticipato le elezioni perché la priorità era quella di ripristinare la sicurezza, ma ciò ha portato solo ad altre domande e tumulti. Una storia di dittature, instabilità e frequenti disastri naturali ha intrappolato Haiti in un ciclo di problemi che, sfortunatamente, non sono stati risolti neanche con l’aiuto internazionale.  support.

Le dimissioni del primo ministro Henry

Le cose hanno preso un’altra piega quando il primo ministro Ariel Henry ha finalmente deciso di dimettersi. Il suo annuncio è arrivato dopo un meeting di leader locali in Giamaica per discutere di una transizione politica per Haiti. Pare che Henry avesse maturato la decisione già venerdì, ma avesse aspettato di fare una dichiarazione ufficiale.

Nel suo discorso di dimissioni, Henry ha invitato la popolazione a restare calma e a fare tutto il possibile per ripristinare pace e stabilità al più presto. Henry era visto come una minaccia alla stabilità di Haiti e il CARICOM (Caribbean Community) aveva reso chiaro che dovesse dimettersi per avviare il passaggio verso un consiglio di transizione.

Dopo l’omicidio dell ex Presidente Jovenel Moise, avvenuto a luglio 2021, Henry si è proposto come leader provvisorio ed è rimasto in carica fino alle dimissioni, provando a rimettere le cose in ordine dopo che il governo e i cittadini si sono trovati in uno stallo politico. La sua autorità, troppo prolungata secondo molti haitiani, non è stata neanche fruttuosa, perché i cittadini hanno continuato a soffrire questo culmine di pressioni storiche e contemporanee, interne e internazionali.

Cosa riserva il futuro per Haiti

Il Paese è da anni senza elezioni parlamentari o generali. Le ultime elezioni risalgono al 2016. Le forze di polizia haitiane non sono sufficienti per contrastare le bande criminali che sono ora in controllo della capitale e della maggior parte del Paese.

Neanche dall’esercito ci si può aspettare granché, poiché non è ben equipaggiato per contrastare le violenza dilagante e, senza aiuto internazionale, ad Haiti non verrebbe più riconosciuto ordine pubblico. 

La violenza nella capitale, Port-au-Prince, è arrivata a un livello così grave che un funzionario delle Nazioni Unite ha definito “precaria” la situazione.

Le carceri principali sono state attaccate, lasciando i criminali a piede libero. Le bande armate hanno richiesto le dimissioni immediate di Henry ma, una volta che sono arrivate, non sembrano considerarla una vittoria, poiché la loro morsa sulle strade non sembra essersi allentata.

Si spera che con il nuovo primo ministro Gerry Conille appena eletto si possa facilitare un ritorno all’ordine e si tengano nuove elezioni.

Auspicando che, questa volta, non vedremo macchinazioni imperialistiche in gioco, a porre ostacoli che porterebbero solo a un altro fallimento governativo.

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