Start up, misure di sostegno da ottimizzare

Per le start up il tasso di fallimento accertato è tra il 90 e il 95%, per mancanza di fondi, mercato sbagliato, scarsa collaborazione o scarsa esperienza. In questo senso, una spinta importante ai progetti potrà arrivare dal Recovery Plan, che stanzia risorse legate all’innovazione.
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Per le start up il tasso di fallimento accertato è tra il 90 e il 95%, per mancanza di fondi, mercato sbagliato, scarsa collaborazione o scarsa esperienza. In questo senso, una spinta importante ai progetti potrà arrivare dal Recovery Plan, che stanzia risorse legate all’innovazione. Anche se l’efficienza delle misure previste può essere migliorata. Come? Lo spiega Francesco del Bene, partner di Avocom Law Firm, che racconta le nuove sfide per il comparto delle start up e gli (scarsi) interventi previsti in materia di project financing.

Un tema chiave del Recovery Plan riguarda le start up. Le chiedo anzitutto una valutazione rispetto alle misure che potrebbero essere introdotte.
Il sistema delle start up rappresenterà un comparto fondamentale e indiscutibile per lo sviluppo e l’aumento di competitività dei vari Paesi sia dal punto di vista tecnologico/scientifico che sociale, societario e culturale. Ormai le start up operano in tanti settori e fanno parte dell’ecosistema generale, non sono più un “anomalia” del sistema “Impresa”. Lo sviluppo delle start up annuncia l’aspirazione a compensare il gap tra investimenti di ricerca e ritorno economico e lancia una sfida di adeguamento ai paesi, come il nostro, meno attrezzati sul piano dell’innovazione “di frontiera”. Il PNRR offre molte soluzioni innovative in questo senso.
Per i finanziamenti previsti nel PNRR, relativi alle start up e al patrimonio culturale per la prossima generazione, è stato stabilito un budget di 500 milioni per la digitalizzazione di quanto custodito in musei, archivi, biblioteche e luoghi della cultura, così da consentire a cittadini e operatori di settore di esplorare nuove forme di fruizione del patrimonio culturale e di avere un più semplice ed efficace rapporto con la pubblica amministrazione. L’obiettivo finale essendo quello di stimolare un’economia basata sulla circolazione della conoscenza.
Questa misura fissa una precisa dotazione di intervento, importante, e chiarisce come applicare le nuove opportunità del PNRR. Per ottimizzare le misure elaborate e presentate nel Piano, alcune ulteriori chiavi di lettura sulla valutazione dell’affidabilità dei progetti finanziati e su specifici criteri per la selezione delle proposte innovative potrebbero ottimizzare l’efficienza delle misure previste.

Quali, nel dettaglio?
La creazione di un centro di competenza multifunzionale, dedicato al settore start up, permetterebbe di comprendere e trasmettere in modo forte la cultura del nuovo, di riconoscere quale sia la parte opportuna delle start up da sostenere, quale sia da attrarre dall’estero e quale sia quella da mettere ai margini. Aiuterebbe l’efficienza dell’assegnazione e dell’attuazione dei singoli progetti start up tramite una vera e propria “cabina di regia” tematica, con persone ed organizzazioni competenti. Permetterebbe di compensare, per motivi di costi e tempi a disposizione, la riduzione della capacità progettuale dello Stato, della nostra burocrazia, dai ministeri, e ad aiutare un ecosistema globale ancora in fase embrionale. La mancanza di un tale centro potrebbe diventare un problema ben più difficile da sormontare degli stanziamenti del Piano percepiti come ridotti.
L’implementazione del Fondo Nazionale Innovazione finalizzato ad integrare le risorse del Fondo, strumento gestito dalla Cassa Depositi e da Prestiti per sostenere lo sviluppo del Venture Capital in Italia, ha un budget a disposizione che ammonta a 300 milioni. L’investimento consentirà di sostenere 250 piccole e medie imprese innovative con investimenti per 700 milioni di euro (partecipazione media pari a 1,2 mln di euro). Con il PNRR attuale si spenderebbero circa 300€/mln per finanziare meno di 150 startup dette di “successo”. Con somme di quell’ordine di grandezza si potrebbero attivare finanziamenti per un numero di start up maggiore e così diversificare il rischio finanziario.

Qual è il tasso di fallimento delle start up?
Il tasso di fallimento accertato (ma non accettato) dall’ecosistema start up va tra il 90 e il 95% a seconda dell’area geografica. In Italia non si è, invece, ancora determinato il valore aggregato collegato a quello percentuale di fallimenti effettivi delle start up. I motivi per cui un gran numero di start up falliscono sono la mancanza di fondi (incapacità di ottenere finanziamenti pubblici o ulteriori finanziamenti dai soci), un mercato sbagliato (non si individua la nicchia di partenza), una scarsa collaborazione (partner che coprano i gap di competenza), una scarsa esperienza (i fondatori spesso iniziano la loro attività perché hanno bisogno di un lavoro).
(Con il contributo di Claire Lusardi, già AD 3D.I.V.E. Srl)

Come valuta invece gli interventi in materia di sviluppo del project finance contenuti nel Recovery Plan?
Vi è, a tal proposito, un’indicazione specifica (per quanto scarna) già nella Relazione della Commissione Bilancio che invita a valutare la “possibilità di istituire un Fondo Sovrano italiano pubblico-privato e Fondo dei Fondi, volto a favorire la patrimonializzazione delle imprese in cui possano confluire parte delle risorse del Piano, oltre al risparmio privato fiscalmente incentivato”. E chiede di favorire un “forte coinvolgimento dei privati attraverso l’utilizzo di strumenti che favoriscano l’apporto del capitale privato ai fini del raggiungimento degli obiettivi del Piano, anche attraverso l’utilizzo del project financing. La relazione predisposta in commissione Bilancio della Camera sulla proposta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza indica espressamente il project financing come il “catalizzatore” adatto per la ripresa del nostro Paese in misura tale da consentire al PPP, sulla scorta delle istanze del mercato e nonostante le criticità evidenziate dalla Corte Europea dei Conti, di far finalmente decollare la realizzazione delle infrastrutture necessarie al Paese. Infatti, destinando alcune delle risorse contenute nel PNRR ad operazioni di PPP, ogni progetto finanziato dal PNRR potrebbe, anche grazie agli investimenti privati, avere un effetto moltiplicatore per la ripresa. Come detto, lo strumento individuato è l’istituzione di un Fondo Sovrano italiano pubblico-privato e Fondo dei Fondi per favorire la patrimonializzazione delle imprese in cui possano confluire parte delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, oltre al risparmio privato fiscalmente incentivato. Cruciale è anche il coinvolgimento della Banca Europea degli Investimenti (BEI) ad iniziative di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e delle banche del territorio, per fornire linee di finanziamento agevolato alle micro-imprese supportandole nella transizione ecologica e digitale. In tal modo, “si potranno potenziare forme di incentiva­zione fiscale del risparmio a medio-lungo termine investito in economia reale, in analogia con quanto previsto per i piani individuali di risparmio (PIR), anche aumentando il tetto della somma massima investibile per persona fisica nei PIR ordinari”.

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